Diciassette anni di impegno a Senigallia per l’Associazione per la lotta all’amianto
Diciassette anni di impegno a Senigallia per l’Associazione per la lotta all’amianto
di CARLO MONTANARI*
SENIGALLIA – E sono 17! Si tratta degli anni di presenza dell’Ala, Associazione lotta all’amianto di Senigallia, che il 15 marzo giunge al traguardo del diciassettesimo anno di fondazione.
Sono successe veramente tantissime cose da quando l’ALA – nata da un suggerimento del dottor Massimo Marcellini – ha iniziato la propria attività.
Nel 2004 il medico oncologico consigliò, dopo il mio primo intervento di tumore da amianto, di costituire un’associazione rivolta al sociale e che si interessasse del problema amianto.
E così, il 15 marzo 2004 nasceva ufficialmente questa Associazione con lo scopo di tutelare la salute pubblica, la bonifica, le leggi attuative per ottenere riconoscimenti pensionistici o di invalida Inail e di informazione sul problema, purtroppo ai più ancora clamorosamente sconosciuto.
Considerando che nel Comune di Senigallia è stato presente uno stabilimento “Sacelit” che produceva materiali in cemento-amianto, la città è stata quella maggiormente colpita dall’inquinamento prima con l’uso di tetti di tale materiale e di quant’altro venisse usato in edilizia per la costruzione di fabbricati o capannoni in genere, e successivamente con la famosa bonifica dei due fabbricati Sacelit ed Italcementi.
La fabbrica Sacelit di Senigallia venne aperta nel 1947, faceva parte del gruppo Italcementi di Bergamo.
Produceva materiale per la copertura dei tetti (Eternit), e materiale per edilizia idraulica. Il composto era una miscela di cemento acqua e amianto. L’amianto e un materiale inestinguibile e indistruttibile ma soprattutto dannoso alla salute dell’uomo, solo nel 1992 l’amianto è stato bandito, dopo che aveva fatto e sta facendo milioni di morti. Gli industriali sapevano della pericolosità dell’amianto ma non hanno fatto nulla, per riconvertire il processo industriale.
Grazie all’ALA (Associazione Lavoratori Amianto) creata dai lavoratori della Sacelit con i familiari, e il lavoro del sottoscritto, dipendente Sacelit e colpito gravemente ai polmoni dalla polvere nociva dell’amianto.
Da sempre, l’obiettivo è stato quello di battersi per fare ottenere ai familiari dei defunti ed invalidi ancora in vita colpiti dall’amianto un risarcimento, spesso senza l’appoggio del sindacato che non avrebbe dovuto mancare, ma che invece è stato carente. Dalle indagini e testimonianze di operai in vita, e dei loro familiari, solo negli ultimi anni si è saputo come si lavorava all’interno della Sacelit. Senza protezioni, senza adeguati indumenti, senza guanti, ambienti pieni di polvere d’minato, che arrivava dentro sacchi di juta e già lì c’era una dispersione del materiale cancerogeno.
Gli operai a fine turno uscivano dallo stabilimento con gli stessi abiti impolverati da amianto, andavano a casa. Le tute venivano lavate dalle mogli e dalle madri; spesso si sono ammalate anche loro senza lavorare nelle fabbriche. Già agli inizi degli anni 60 (ma anche prima) la comunità scientifica diceva che l’amianto provocava il cancro: Carcinoma, Mesotelioma, Carcinoma Polmonare. Ma si è continuato ad usarlo. La Sacelit nel 1970 aveva 380 operai. Era l’industria con maggior dipendenti del tempo.
Un breve cenno anche sull’Italcementi di Senigallia, stabilimento in cui esisteva la centrale termica per il ciclo lavorativo di forni che cuocevano materiale per la macinazione per ottenere la polvere di cemento amianto da commercializzare. La stessa centrale che occupava una grande stanza, era circondata da un metro di amianto sfuso per limitare il calore che emanava. E quanti elettricisti camminavano sopra l’amianto per aggiustare la centrale !
Raccontare la storia dei lavori presso gli ex stabilimenti, sarebbe comunque troppo lungo e tortuoso, ma pensare che a marzo 2021 si parla ancora di individuare opere di bonifica, lascia spazio a molte perplessità.
Io che sono stato il presidente per tutti questi 17 anni, posso vantarmi di aver contribuito nel mio piccolo a far si che l’Ufficio di prevenzione dell’Asur (Ente preposto alle bonifiche da amianto) eseguisse sopralluoghi di tante denunce prodotte e risultate poi positive per il loro risvolto di bonifica.
Ma la domanda che mi pongo è sempre la stessa: perché prima di intervenire, gli addetti ai lavori debbono aspettare sempre e comunque le mie proteste? Mai di spontanea volontà ?
Il dato nazionale è che in Italia ci sono ancora 650 chili di amianto per cittadino, dopo che l’Italia è stata sino al 1992 il secondo produttore europeo.
Si stima che in Italia, per rimuovere ogni traccia di amianto, ci vorranno circa 1000 anni! L’importante è iniziare a fare le cose sul serio.
*Presidente Associazione lotta all’amianto – Senigallia
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