Enzo Carli: “Vi presento i mutamenti della fotografia”
Enzo Carli: “Vi presento i mutamenti della fotografia”
di ENZO CARLI
Più che nei dogmi ideologici o negli stilemi accademici, il dovere di ogni ricerca è quello di ritrovare l’autenticità di rapporto con i vari aspetti della realtà e delle forme espressive. Il grado di rivendicazione dell’artista, ed anche il grado della sua disperazione e risoluzione per la vita sono legate alla società che le produce, e il mutamento socio-culturale in questo momento è caratterizzato dalla sbandata dei velleitarismi connessi all’implicazione dell‘arte con il sociale, dall’ininfluenza politica dell’artista, e, quindi, dal recupero della sua identità critica e propositiva.
L’impegno che aveva caratterizzato l’operato iconico degli anni passati ritorna libero, senza finalità pratiche.
Grazie alle maggiori opportunità della vita contemporanea, l’uomo creativo deve essere disponibile ad apprendere, ad educarsi per tutta la vita, ad esercitare, attraverso la formazione permanente, quella che è una delle sue funzioni principali, la conoscenza. Può, così, rivendicare la propria centralità ed autonomia propositiva, oggi minacciata dall‘universo dei media e da una molteplicità di messaggi, simboli e nuovi linguaggi, a volte difficili da decodificare ed interpretare.
Questo atteggiamento può distinguere coloro che sono impegnati nelle costruzioni di nuove idee da coloro che ne sono solo consumatori. “Subiamo” la continua provocazione del mondo e ne proponiamo, con la fotografia, la nostra interpretazione: sono dell’opinione che per conoscere e parlare di fotografia sarebbe opportuno praticare, sviluppare e promuovere tutte quelle occasioni di confronto con le altre forme espressive, avvicinando in queste occasioni soprattutto i giovani.
Proponiamo una foto-amatorietà evoluta, che riesca a trovare e a costruirsi tutte le occasioni di confronto, a superare velleitarismi, barriere e steccati, specie di ordine intellettivo. La fotografia capta di norma, la “realtà ideale”, con la quale si esprime la propria visione della vita, non “assoggettata” alla comune visione del mondo concreto; favoriamo, quindi, questa fotografia che, resa in progetto o no, sviluppa la conoscenza e induce all’analisi e alla riflessione.
La fotografia soddisfa l’esigenza sociale di rappresentazione della realtà, e, con le sue proposizioni, ne accelera la conoscenza e la comunicazione, provoca turbamento ed opera trasformazioni culturali. Coloro che, soddisfacendo ad un bisogno interiore, producono immagini che trascendono e trasfigurano la realtà, investono la fotografia di un’autonomia espressiva che ribalta i diaframmi delle nostre abitudini visive, l’uso e la pratica del mezzo.
Le ricerche sociologiche tendono a comprendere l’uomo e la società, attraverso gli atti sociali, gli universi magici e simbolici della vita immaginaria e della memoria collettiva. Una fotografia antropologica, legata all’uomo e alle piccole storie, che ricerca la verità nei propri confini, nell’origine della propria matrice culturale, nell’interazione con il proprio ambiente, nel recupero del vissuto, della memoria e del ricordo.
La fotografia è un immenso mosaico, costituito da piccole identità personali, e, in questa direzione, il gruppo, attraverso il sostegno psicologico del feed-back, attraverso il confronto e la conoscenza del messaggio di ritorno, visivo e orale, ha la funzione di stimolare l’individuo, liberandolo dai limiti e dai vincoli della propria individualità, indirizzandone la creatività sul progetto fotografico.
Si può individuare nel gruppo fotografico una funzione rituale; il “culto fotografico” che unisce persone, fatti e cose, privilegia le trasformazioni, favorisce la coesione, preserva l’individuo dalla crisi culturale, riflette il potere sociale della fotografia, aumenta la conoscenza delle immagini e dei sistemi figurativi.
Simulare dunque il “culto”, liberando le ansie sociali e le passioni culturali sulla fotografia, in un palcoscenico dove i protagonisti riconoscono un momento dell’individuo e un momento del gruppo.
Far vedere le fotografie e discuterne ha una funzione “rassicurante” in un gruppo; l’apprendimento e l’interpretazione avvengono attraverso la messa in comune delle esperienze dei singoli componenti e l’accettazione teorico-pratica avviene su un piano critico; l’acquisizione avviene simultaneamente alla diretta sperimentazione, attraverso la consapevolezza di una migliore accettazione di se stesso da parte degli altri e nella presa di coscienza delle proprie motivazioni.
Uno degli scopi del Circolo e del fotoamatore, oltre a quello di trovare motivazioni per fare fotografie, è quello di ricercare un certo consenso. I componenti del circolo hanno probabilmente in comune un tasso di pratica superiore a quella dell’insieme della popolazione che fotografa, e, dunque, il Circolo offre l’opportunità di passare da una pratica ingenua ad una pratica dotta. Ma la frequenza della pratica non condiziona direttamente la sua modalità. I componenti del Circolo hanno in comune la valorizzazione dell’atto fotografico e, soprattutto, la volontà di fotografare in altra maniera, nel senso che (avendo perduto la giustificazione primaria dell’atto fotografico in seno al gruppo primario, la famiglia), sono alla ricerca di una giustificazione secondaria. In un foto club spesso la fotografia è il mezzo per esprimere aspirazioni, mentre i concorsi hanno funzioni e propri codici estetizzanti che privilegiano una meritocrazia fotografica nella maggior parte dei casi anonima sul piano delle proposizioni, ma garante di un ordine di fotografia.
Non basta che i fotografi siano convinti della conquista della fotografia, spetta loro il compito di far seriamente assurgere la fotografia a quella dignità di cui molti parlano ma che nessuno vuole conferirle.
Una fervida progettualità dell’uomo, che esprime modernismo e alleanza nei collegamenti di cultura e di conoscenza, e più livelli di immagini e di critica sono le migliori opportunità per offrire esposizioni e verifiche per ripristinare la propria centralità, frastornata dalla comunicazione di massa e dalle facili promesse; una visione del mondo, un recupero informale che avversa ogni riduttività ed ogni appiattimento privo delle poesia dell’esistenza. È ora che il fotografo si riappropri della sua autonomia espressiva, sviluppando con le immagini la capacità di comunicare le trame delle sua creatività.
La macchina fotografica non è solo una macchina per fabbricare bellezza, è soprattutto una boite a penser, un filtro eccellente tra la realtà e la propria visione interiore, il reale ideale o immaginario, un mezzo congeniale per esplorare l’apparato iconico della nostra memoria e per trascrivere, conoscere e far conoscere la propria visione. Ci aiuta e ci sostiene nell’esplorazione del mondo delle cose, dei segni e delle conoscenze.
La tradizione figurativa è parte della critica d’arte fotografica, giornalistica e letteraria, quella improvvisa e quella esperienziale, concorsuale-fotoamatoriale, che spesso si incentrano nella valutazione delle immagini fotografiche, come esame estetico, accentuandone la dominanza funzionale (come se il presupposto di qualità fosse la bella fotografia), e tralasciando, spesso arbitrariamente, altri parametri di valutazione. La realizzazione di una bella fotografia è certamente parte del risultano cui tendono molti fotografi, ma non solo e non tutto. David Hockney sostiene che la ricerca della bellezza appartiene, ormai, alla ritualità gestuale (l’epos del fotografo), tanto da non conseguirne più un effetto catartico, e il seguire passivamente mode e tendenze porta a tralasciare la ricerca del significato.
Le immagini, figurative o astratte, che riproducono e interpretano quanto esistente nella realtà e che propongono forme nuove, o che, pur richiamando cose note, non le riproducono mai, esprimono, attraverso il linguaggio visivo, un contenuto e una forma. La creatività è probabilmente determinata dalla capacità dell‘autore di proporre – coerentemente con le sue conoscenze, esperienze, cultura, vissuto, periodo storico, idee e personalità – il contenuto e la forma in perfetto equilibrio, in modo originale e quindi irripetibile, attraverso un’immagine che supera la ripresa oggettiva, per quanto semanticamente pregnante, e che propone una sorta di evidenzialità dell’inosservato, uno smembramento, una stupefazione, un trascendimento della realtà.
L’educazione critica educa alla distinzione tra immagini significative e gli stereotipi della civiltà dell‘immagine, permette di recuperare attraverso la scelta della visione la propria centralità frastornata dall’invasione iconica; aiuta a comprendere il significato nascosto delle immagini. Le fotografie della società contemporanea, caratterizzata dal consumo e dai forti contrasti ideologici, individuano i motivi del dissenso e della protesta, riscattano la banalità del quotidiano tragica ed ironica, esaltano i miti del nostro tempo, riportando, nel documentare i resti della nostra industrializzazione, all’incomunicabilità della metropoli urbana.
Il possesso della macchina fotografica, considerata una tecnologia simbolo di uguaglianza, viene inteso come mezzo (self-media) per distogliere l’individuo dalle condizioni reali della sua vita, con il quale recuperare la creatività e aumentare le occasioni di conoscenza; non a caso la fotografia si presta ad estetizzare tutto, rendendolo cioè bello in assoluto.
Ci sono immagini che rendono questa nostra società carezzevole, lasciva e fantastica, ma il benessere non è universale nella sua ripartizione, ed esistono zone di miseria, di sottoconsumo e di sottocultura, che colgono aspetti di condizione umana al limite dell’abbandono, dai quali emergono le differenze di classe e le insidie della società moderna.
La fotografia diventa pretesto di scelte, e libera un immaginario che viene racchiuso nella struttura del linguaggio fotografico, “immagini cliniche”, “fotografie bugiarde” che cercano di fissare quelle situazioni o momenti sognati che hanno costituito un rifugio contro le ansie e le angosce della vita reale. Fotografie particolarmente elaborate, poco connotative, intimistiche, topografiche, concettuali e astratte che esaltano la ridondanza o le funzioni della psiche, che alterano i linguaggi noti e ci propongono nuove occasioni di conoscenza. Un incessante e profondo mutamento che coinvolge valori e persone in una diversa visione del mondo, e determina nuovi atteggiamenti nel linguaggio, nella comunicazione, nelle convinzioni e nelle credenze del pubblico e del privato. Una direzione in cui è possibile recuperare identità perdute o assolvere impegni di civiltà
(Secondo parte – continua)