Festeggiati a Senigallia i 50 anni della Caritas “tra le cose più belle della diocesi”
Festeggiati a Senigallia i 50 anni della Caritas “tra le cose più belle della diocesi”
SENIGALLIA – Mattinata emozionante e ricca di voci e ricordi al cinema Gabbiano per i 50 anni di Caritas e i 10 di cooperativa Undicesimaora, alla vigilia della Giornata mondiale dei poveri voluta da papa Francesco. Sul palco si sono alternati i protagonisti del lungo percorso di una Caritas tra le più vivaci a livello nazionale e, come ha concluso il vescovo Manenti, “tra le cose più belle della nostra diocesi”.
Presentati dal direttore della fondazione Giovanni Bomprezzi si sono alternati al microfono, sullo sfondo di centinaia di foto di questi anni intensi, i quattro direttori don Giancarlo Cicetti, il primo, dal febbraio 1978, don Giuliano Zingaretti, don Aldo Piergiovanni e, in collegamento dalla Terrasanta, don Giancarlo Giuliani, attuale in carica: tutti hanno sottolineato l’importanza della carità come condivisione, come lavoro fatto insieme, che ha permesso alla Caritas diocesana di affrontare momenti difficili come le emergenze (terremoti, alluvione e pandemia), di farsi vicina in modi sempre nuovi a chi soffre, di accogliere. “Oggi Caritas” ha detto don Giancarlo Giuliani “accoglie in vario modo circa 200 persone, ascolta le richieste di aiuto dal territorio diocesano attraverso 14 Centri di ascolto, uno ogni 10.000 abitanti, in sinergia con gli enti: siamo un grande NOI in questa Chiesa solidale”. Una Chiesa della tenerezza e della vicinanza.
Dopo i saluti del sindaco Olivetti e dell’attuale direttore di Caritas italiana Soddu, il vescovo emerito Orlandoni ha ricordato che la carità non è delegabile, è un compito che compete a tutti: “La carità non è elemosina ma solidarietà, attenzione al povero, è giustizia, cura della persona e promozione dell’essere umano”. Fondamentale per la nascita di Caritas sono stati i primi obiettori di coscienza, come Rodolfo Piazzai, che nel 1980 diffondevano una cultura della pace e della non violenza, oltre a mettere in atto il servizio: è stato grazie a loro che il 23 dicembre del 1982 fu aperto il Centro di accoglienza. E come don Andrea Franceschini: “Per me il servizio è stata una scuola di relazione, di amicizia, di vita. Dopo i mesi da obiettore mi sono sentito più vicino all’essere umano e ho capito che esiste una carità intelligente, aperta, fatta di incontro, perché siamo tutti poveri tra i poveri”.
Numerose le voci dei volontari, splendido pilastro di Caritas, da Irene Carboni, AVS (anno di volontariato sociale) nel 1995 a Margherita Dubini, ex servizio civilista, dalla storica Fiorella Mirasole, fondatrice della Caritas del Cesano, ad Aiste, SVE (servizio volontario europeo) in collegamento dalla Lituania. Gioele Serfilippi, presidente de Il seme, ha spiegato come i circa 150 volontari Caritas sono una risorsa fondamentale per il territorio, un vero capitale sociale. Molto toccante la voce di Vincenzo, pescatore per 45 anni con una vita “sciupata”, come ha ammesso lui stesso, tra alcool e cattive compagnie, che a un certo punto ha trovato in Caritas una famiglia e un senso: oggi ha una moglie, un bambino, ha smesso di bere e fa il volontario.
Francesco Bucci ha ripercorso brevemente i passaggi più importanti della nascita della cooperativa Undicesimaora, conseguenza naturale di Caritas perché rappresenta “la forma di cui la carità ha bisogno e offre il dono della dignità attraverso il lavoro”. I numeri parlano chiaro: ogni giorno 17 persone sono inserite all’orto, 8 in falegnameria, 21 al magazzino Rikrea. Come ha detto Antonio Minghi, pensionato che insegna in modo volontario un mestiere a chi si era perso: “Non ci si salva mai da soli”.
Infine una breve testimonianza dell’ambulatorio medico solidale Paolo Simone, da ormai quasi 4 anni vicino ai poveri più poveri, cioè i poveri malati, con la voce di Walter Mariotti e il racconto di Maurizio Mandolini, dirigente ai Servizi sociali, su una storia lunga 20 anni durante la quale si è costruita una sintesi tra concetto cristiano e laico della carità, cioè mettere sempre al centro la persona e affrontare il tema dell’esclusione sociale.