Massimo Bellucci: “Troppi rifiuti abbandonati lungo le strade”
Massimo Bellucci: “Troppi rifiuti abbandonati lungo le strade”
di MASSIMO BELLUCCI
TRECASTELLI – Bottiglie di vetro vuote (di vino o di birra), bottiglie di plastica (piccole e grandi), padelle, calzature varie, pneumatici, un dinosauretto di gomma, svariati brick (sia di succhi di frutta che di vino scadente), buste di patatine, calzini, poi, incredibilmente, un water, un termosifone, una portiera di automobile.
Vedo questo e altro ai bordi delle strade, camminando o andando in bici, soprattutto nella zona dove mi muovo abitualmente (Ripe, Corinaldo e dintorni).
Andando in auto è più difficile notare cotanto immondezzaio. Qualche giorno fa sono stato nuovamente sui Sibillini e in un ruscello, dentro un bosco all’interno del Parco Nazionale, ho trovato un pneumatico. Sembra incredibile lo so.
Già questo basterebbe per capire che c’è un grosso problema culturale, non si tratta solo di maleducazione (quella non manca), ma c’è chi butta via questa roba danneggiando l’ambiente e c’è chi non lo ritiene una cosa importante.
La vecchia cultura contadina, che abbiamo frettolosamente dimenticato, aveva un rispetto profondo per la terra. I vecchi contadini che avevano letto sicuramente meno libri di noi, sapevano che noi, gli animali, gli alberi, la terra, siamo tutt’uno.
I fossi sporchi possono sembrare poca cosa in confronto ai “grandi problemi”. Da tanti anni vado a camminare quasi quotidianamente, come è possibile non vedere la bellezza dei campi e degli alberi, delle montagne? Se vedi la bellezza dei luoghi naturali non butti via la bottiglia per terra, anzi, ti fermi a raccoglierla. Ripulire un pezzo di strada è una cosa che, insieme ad amici, ogni tanto faccio. Cosa risolve? Apparentemente niente. Come non hanno (sinora) risolto niente cortei, raccolte di firme o azioni dimostrative eclatanti. Eppure sono importanti, gocce senza le quali il mare sarebbe più piccolo.
Leggo di un grande progetto di ricerca finanziato da Bill Gates denominato Scopex (Stratospheric Controlled Perturbation Experiment) che ha lo scopo di adombrare il sole attraverso l’immissione nell’atmosfera di sostanze che appunto filtrerebbero i raggi solari prima del loro ingresso nell’atmosfera, annientando “in pochi anni” gli effetti del surriscaldamento globale.
Ecco, a mio parere la strada giusta da percorrere è esattamente opposta: meno tecnologia (e meglio distribuita, meglio utilizzata), meno culto del progresso (inteso esclusivamente come progresso tecnico), meno velocità, meno economia (nel senso di meno peso dell’economia nella società, meno potere del denaro). Meno auto. Rallentare, guardarsi intorno, riscoprire il piacere di indugiare, di carpire la bellezza dei dettagli. Serve veramente questa corsa al progresso tecnico? Non si tratta di perseguire un ingenuo sentimentalismo, o di commuoversi contemplando un tramonto (anche se di poesia c’è n’è tanta) ma di andare contro corrente nei comportamenti quotidiani. Lasciare la macchina nel garage e andare a piedi (o in bici), spegnere social e tv ogni tanto, sedersi sotto un grande albero e ripensare alle cose del passato, andare alla casa di riposo per parlare con gli ospiti, fermarsi ad ascoltare il vento. E così via.
Serve capire che le piccole cose (un fosso pulito, le storie di un anziano) sono importanti, così come le piccole azioni, l’attenzione per i luoghi che ci appartengono. Anzi, a cui noi apparteniamo. Rallentare per lasciarsi toccare dalla bellezza.