Gli auguri del Vescovo Franco Manenti alla diocesi di Senigallia
Gli auguri del Vescovo Franco Manenti alla diocesi di Senigallia
di FRANCO MANENTI*
SENIGALLIA – «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto» (cfr Gv 20,2). Questa la prima e drammatica lettura che Maria di Magdala dà del sepolcro di Gesù, trovato vuoto. Maria era uscita da casa “quando era ancora buio”, per andare al sepolcro di Gesù. Ora, al dolore di aver perso il Signore, si aggiunge altro dolore, perché non si trova più il corpo di Gesù, l’hanno portato via.
Maria, tuttavia, ritorna al sepolcro vuoto, si ferma, in lacrime all’esterno, a differenza di Pietro e del discepolo che Gesù amava, i quali, dopo uno sbrigativo ingresso nel sepolcro, “tornano di nuovo a casa”.
A trattenere Maria al sepolcro è l’amore per Gesù, un amore che appare inconsolabile e, al tempo stesso, incrollabile. Maria non si rassegna a quanto è accaduto; non intende staccarsi da Gesù, anche se ormai è morto, per questo si mette alla ricerca del suo corpo. Quando incontra chi ritiene essere “il custode del giardino” gli fa una precisa richiesta: «Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove l’hai posto e io andrò a prenderlo» (Gv 20,15). La ricerca di Maria “ha successo”, un successo ben oltre la ricerca, quando il presunto giardiniere è riconosciuto da lei come il “Maestro”. E Maria torna per la seconda volta dai discepoli, con una narrazione diversa dalla precedente, non più: «hanno portato via il Signore e non so dove l’anno posto», ma: «Ho visto il Signore!».
Maria di Magdala non scopre da se stessa che Gesù è vivo, ma quando viene chiamata per nome da Gesù stesso («Maria!»). Gesù si rivela a Maria come risorto, non con gesti eclatanti né con una manifestazione sorprendente, ma semplicemente chiamandola per nome. Un gesto, ripetuto più volte da noi, spesso in modo distratto (chiamare per nome qualcuno, essere chiamati per nome da chi ci conosce) diventa qui il tramite di un incontro che risultava ormai impossibile
Stiamo vivendo un tempo nel qual spesso fatichiamo anche noi a riconoscere che Gesù è il Maestro risorto, è il Signore che non ci ha abbandonati, non ci ha lasciato soli nel nostro cammino. Anche a noi può capitare di cercarlo, come Maria di Magdala, con insistenza, perché comprendiamo che non possiamo fare a meno di lui, del suo amore che ci rassicura; della sua parola che illumina il cammino della vita, spesso oscurato da quanto succede attorno a noi e nel nostro cuore; che apre un orizzonte di una speranza più solida e affidabile delle nostre speranze; che non si scandalizza delle nostre fragilità e incoerenze, ma che si ferma per curare le nostre “ferite”.
Il Signore risorto non si nasconde non si sottrae alla nostra ricerca, ma ci viene incontro, ci “chiama per nome”, con quel nome che non è solo un insieme di lettere, ma rappresenta la nostra umanità, quello che siamo con i nostri desideri, progetti di vita, con gli affetti che coltiviamo, con la nostra libertà spesso confusa, impacciata, coi nostri dolori e le nostre sconfitte, con le tante speranza parzialmente compiute, o addirittura, andate in fumo, con le nostre paure e le tante fragilità.
L’augurio che, in questa Pasqua, faccio a tutti, anche a chi ha poca dimestichezza con Gesù, il crocifisso risorto, “il Signore!”, è che possiamo riconoscere nelle pieghe della nostra vita la sua parola che ci chiama per nome, con il nostro nome e che, per questo, cambi la narrazione della vita, non solo a beneficio nostro, ma anche a beneficio di chi con noi condivide le paure che questo tempo continua ad alimentare nel nostro cuore.
*Vescovo di Senigallia
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