Pio IX e i candelabri di Victor Hugo
Un episodio poco ricordato nella vita del papa senigalliese
di GASPARE BATTISTUZZO-CREMONINI
SENIGALLIA – Esistono, nel regno tutto incorporeo della Letteratura, due candelabri che par excellence sono entrati nell’immaginario collettivo e che sono oramai divenuti universale simbolo della umana (e divina) capacità di redenzione e di perdono.
Sono questi i famosi candelabri di Monsignor Myriel, vescovo buono e caritatevole in quel mondo di lupi che è il romanzo I Miserabili di Victor Hugo: archetipo di cristiana carità ma anche della instrinseca bontà che giace, spesso sepolta, al fondo di qualsiasi cuore umano.
La vicenda è ben nota ma vale ripercorrerla brevemente: il vescovo Myriel ospita in casa il forzato evaso Jean Valjean e costui, per tutto ringraziamento, nel cuore della notte fugge rubando al prelato due preziosi candelabri d’argento. Al mattino, riacciuffato da due gendarmi, Valjean è accusato di furto e condotto in manette al cospetto di Monsignor Myriel a cui vien chiesto di riconoscere la refurtiva.
“Certo, sono miei,” dice il vescovo, alludendo ai candelabri, “ma costui non li ha rubati bensì li ha ricevuti in dono proprio da me.”
Valjean è salvo e libero d’andarsene per la sua strada benché ormai irrimediabilmente cambiato, nel suo essere, da quel qualcosa che i cristiani chiamano Grazia: quest’atto infatti toccherà lui e, d’intorno a lui, molte altre vite del romanzo, le quali si troveranno a beneficiare d’un bene che si sparge a pioggia e si moltiplica in ragione di un singolo, originario gesto di misericordia.
Bella storia – si dirà, – ma poco più che una favola: nella realtà le cose sono assai diverse e lo sappiamo tutti fin troppo bene.
Vi è per contro un episodio ben attestato, ancorché poco ricordato, nella vita di Pio IX, il senigalliese Giovanni Maria dei conti Mastai-Ferretti, che non solo porta delle somiglianze col suo relativo letterario ma che difficilmente si potrebbe pensare non esserne la fonte diretta di ispirazione.
Educati (e talvolta un poco fuorviati) da decenni di propaganda risorgimentale a guardare alla Chiesa ed agli Stati preunitari in generale come ad agenti di oscurantismo ed a Pio IX in particolare come al Re più che non al Papa – in una prospettiva lievemente caricaturale che presenta spesso i foschi tratti della Tosca pucciniana, – sovente siamo incapaci di intravvedere lo spessore spirituale che animò, per tutta la vita, il prete Mastai.
‘Tagliatelo a pezzi, ma ricomponendo i pezzi vedrete che non potrà venir fuori altro che sempre il prete’, diceva il conte Gabriele Mastai-Ferretti, fratello del pontefice: e questo avrebbe, assai probabilmente, detto di sé lo stesso Pio IX che, anche da sovrano, si vide sempre e soprattutto come un pastore di anime, peraltro calato in un periodo storico assai complicato.
La memorialistica agiografica – sia quella favorevole al senigalliese che quella impegnata a costruirne la leggenda nera, – ricorda in effetti le virtù pastorali dell’uomo Mastai, condite di carità e di devozione, come preponderanti su tutto il resto: sulla politica, sulla pompa curiale, sulla diplomazia.
Nel periodo che Giammaria Mastai-Ferretti, ancora giovane, trascorse ad Imola, quale vescovo della città emiliana, si verificò l’episodio che a noi pare possa essere stato d’ispirazione per il romanziere Hugo: se non altro per ragioni cronologiche, giacché I Miserabili esce nel 1862 mentre il fatto imolese è degli anni ’30 dell’‘800.
Un giorno, un tale, inseguito da un pervicace creditore che minacciava di mandarlo alla prigione per debiti, si rifugia nel vescovado e chiede al Mastai in prestito la somma di 40 scudi, sì da saldare il suo debito.
“Figlio mio,” gli dice il vescovo, “io son povero e quella somma non la ho… però aspetta, prendi questi candelieri, vendili, e ricava quanto ti serve.”
Gli consegna dunque due pesanti candelabri d’argento che vengono tosto portati dal gioielliere per esser venduti: costui tuttavia, avendo notato lo stemma episcopale del Mastai inciso sopra i manufatti, li riconosce per esser parte dell’arredamento dell’episcopio e, prendendo tempo, corre dal vescovo a denunziare il povero debitore.
“Vi ringrazio,” dice questi al negoziante, “ma i candelabri non son più miei; sono di costui, quindi potete bene comprarli!”
L’orefice, appreso il retroscena, viene mosso a pietà dalla situazione e presta di tasca sua al debitore i 40 scudi, rendendo i candelabri a Monsignor Mastai che si fa garante del prestito stesso.
Anche nel caso del futuro Pio IX, come ben comprese Hugo, un atto di carità gratuita ne porta sempre con sé degli altri.
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