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La linea infinita di Michele Anselmi martedì sera alla Piccola Fenice

SENIGALLIA – Martedì 4 marzo alle 21:15, alla Piccola Fenice l’appuntamento principale della nostra rassegna di cinema! Due documentari La linea infinita e Tre donne afghane resistenti in esilio (prima italiana assoluta). Saranno presenti Stefano Schiavoni ed Olivia Olivi, che introdurranno  l’opera dell’incisora senigalliese Memè Olivi, e Amie Williams, regista americana che ha realizzato i due film.

La linea infinita di Michele Anselmi

Una madre senigalliese e giramondo, incisora, che si chiamava Amelia, in arte Memè; una figlia parigina/londinese, pittrice, che si chiama Amélie. In mezzo c’è lei, Olivia Olivi in Barnathan, che alle due Amelia della sua vita ha voluto dedicare un documentario intitolato, non a caso, “La linea infinita”. Dopo l’anteprima dello scorso dicembre al Corto Dorico Filmfest, approda a Senigallia, martedì 4 marzo alle 21.15 presso la Piccola Fenice, per la serie “Cinema Confluente”, il cine-ritratto di una quarantina di minuti: si rivolge a pochi ma potrebbe piacere a molti, perché l’omaggio esonda dai confini del lessico familiare per diventare, mi pare, un discorso più ampio sulla maternità, e insieme una riflessione sull’arte, la libertà, il sacrificio, l’autonomia, anche il senso della vita (se c’è).

La regista americana Amie Williams, che sarà presente a Senigallia anche con il suo precedente film “Tre donne afgane, resistere in esilio” del 2023, s’è messa al servizio di un racconto affettuoso ma non zuccheroso, che trova in Olivia, pure produttrice, una sorta di “io narrante”, presente in carne e ossa nell’andirivieni dei ricordi, delle testimonianze e delle trasferte. Tre le lingue usate, inglese, francese e italiano, a condensare la vocazione cosmopolita delle due artiste, con un occhio particolare alla prima, appunto Memè Olivi, nata Amelia Gambini Rossano nel 1922 a Senigallia e morta a Roma, 97enne, nel 2019.

Sarei poco onesto se dicessi che non la conoscevo. Era amica di mio padre Sergio, la vedevo d’estate quando tornava a Senigallia per le vacanze, insieme al marito e alle tre figlie, tra le quali appunto Olivia, la bella e ruvida ragazza di cui tutti s’innamoravano. Capelli bianchi, naso pronunciato, voce sottile ma non anodina, abiti ampi e comodi, Memè era già artista apprezzata, non solo in Italia, nel ramo dell’incisione (serigrafie, litografie, xilografie eccetera), ma per me era perlopiù una signora gentile e ospitale.

Nel tempo ho cominciato ad apprezzare le sue opere, che saranno oggetto nel 2025 di una mostra al museo Nori de’ Nobili di Trecastelli; ma certo il mediometraggio illumina di una luce diversa il suo magistero artistico, anche il percorso umano di questa donna a suo modo scorzuta e calvinista. Pensate: a quattordici anni riuscì a convincere il padre a farsi spedire a Urbino per studiare alla Scuola del Libro e da lì, crescendo, sarebbe arrivata fino a Brera.

«Quando vedo un paesaggio, lo sento moltissimo. E questo marchigiano è per me profondamente… Sì, lo sento» sussurra in uno dei pochi video che la ritraggono; segue un riferimento all’Infinito leopardiano, inteso non solo come morbido spazio collinare da ritrarre e reinventare sulle sue lastre cesellate a puntasecca, cioè con incisioni fatte direttamente sul metallo, ma come un mondo interiore che quasi sempre – vai a sapere perché – ha escluso le figure umane. Come se poco le interessassero. Proprio l’opposto di quanto disegna la nipote Amélie, nei suoi quadri ricolmi di ragazze maliziose, colte nel passaggio traumatico, quasi sanguinoso, dall’infanzia all’adolescenza e alla sessualità.

La ricetta di Amelia era affidata a quattro gerundi: «Lavorando, lavorando, lavorando… e studiando». Ma la sua vita, così dedicata all’arte dell’incidere, non è stata un lungo fiume tranquillo: scampò per puro caso a una bomba alleata caduta sulla sua stanza in campagna, per guadagnare lavorò a Milano nel mondo della pubblicità e della moda, finì anche in una casa di cura in seguito a un tradimento subito (lo racconta il documentario) per poi ritrovare il marito, dedicarsi ai nipoti e regalare alle sue opere una coloritura floreale, sempre dentro una costante ricerca di stile, fatta di urgenza creativa e di rivendicato silenzio.

Girato tra Senigallia, Londra, Urbino, Parigi e Bruxelles, “La linea infinita” sembra raccontare, in fondo, l’irrequietezza tranquilla di Olivia, quel suo sentirsi in bilico tra le due artiste di casa, per qualche verso debitrice all’una e all’altra; e forse, alla base del progetto, palpita pure la progressiva riscoperta delle radici senigalliesi dopo una vita passata altrove, soprattutto in Francia.

Quanto a me, alla fine dei titoli di coda non ho potuto fare a meno di ricordare un episodio di tanti anni fa, più di mezzo secolo: quando andai a prendere Olivia, d’estate, per portarla a vedere “Butch Cassidy” in un cinemino fuori Senigallia, dopo aver ricevuto un sorriso e forse una macedonia di frutta da sua mamma Amelia. L’incisora.

Tre donne afghane resistenti in esilio

Costrette a fuggire dal loro paese dopo la presa del potere da parte dei talebani nel 2021, tre donne leader afghane lottano per mantenere l’attenzione del mondo sulla crisi in corso in Afghanistan, mentre fanno i conti con cosa significa vedere il loro potere usurpato e due decenni di progresso smantellati. Dai loro lontani paesi di esilio, queste quattro leader donne – ex parlamentari, ministre e giornaliste – osservano i talebani privare le donne e le ragazze del diritto all’istruzione, al lavoro e alla partecipazione alla società. Non più in posizioni di influenza, sono costrette a reinventarsi per continuare la lotta per un Afghanistan libero e giusto. Quando l’attenzione del mondo si rivolge al titolo successivo e anche la più grande superpotenza ammette la sconfitta, riusciranno queste donne ad avere successo?

Ingresso: Soci Confluenze e minori 25 anni €5 | Non Soci €6  Per associarsi visitare il sito di Confluenze: www.confluenze.org  Info: 3315868337

 

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