Il vescovo Manenti: “E’ ancora possibile scambiarci gli auguri di buona Pasqua?”
di FRANCO MANENTI*
SENIGALLIA – Nella nostra vita personale, familiare e nella storia che stiamo vivendo ci sono situazioni che chiedono conto del significato delle parole che usiamo, soprattutto di quelle che esprimono un augurio. Sono proprio le parole degli auguri che corrono il rischio della retorica, dell’abitudine sociale e tra queste, in modo particolare, quelle che ci scambiamo in alcune feste religiose, come il Natale e la Pasqua, feste che per un numero crescente di persone non conservano più nella loro vita l’impatto originario, sostituito da una nuova “liturgia” con i suoi gesti, quelli dei regali, di pranzi e cene particolari, delle vacanze…
Eppure pronunciare parole di augurio resta un gesto importante, di grande significato a cui non volgiano rinunciare, perché dà voce alle nostre speranze, dice a noi e agli altri cosa ci attendiamo dalla vita, da quello che sta accadendo nella storia.
La vita ci ha insegnato che senza speranza non è possibile condurre un’esistenza apprezzabile ai nostri occhi, investire le nostre migliori energie; la vita ci ha insegnato anche che le nostre speranze non sempre reggono all’urto di situazioni, complicate, dolorose, dove, come sta succedendo in questi tempi, l’arroganza liberticida dei potenti, l’esclusiva ricerca del profitto personale di chi detiene tante ricchezze, l’intolleranza e l’aggressività nelle nostre comunicazioni, la paura di fronte alle persone che chiedono di prenderci cura di loro…, sembrano imporsi sul desiderio, proprio degli umani, di giustizia, di libertà, di pace, di solidarietà e rendere più difficile l’azione di tanti uomini e donne di buona volontà.
Proprio per evitare la “retorica degli auguri” non voglio sottrarmi a domande che potrebbero risultare imbarazzanti: abbiamo buoni motivi, oggi, per augurarci una “buona Pasqua”? Qual “buona Pasqua” che ci auguriamo? Condivido con voi la risposta che mi sono dato a queste domande, che
La risposta l’ho riscoperta anzitutto nelle parole di Gesù in croce, quando dà speranza non solo a chi lo sta uccidendo, ma anche a noi, perché non risponde con altra violenza alla violenza che sta subendo (“Padre, perdonali perché non sanno quello che fanno”); quando dà ascolto alla richiesta di uno dei malfattori di non essere dimenticato (“ricordati di me”) almeno da lui («In verità io ti dico: oggi sarai con me nel paradiso»).
La risposta l’ho riscoperta anche nella pazienza con cui Gesù risorto incontra i suoi discepoli “in lutto e in pianto”, sconfitti nella loro speranza («noi speravamo che fosse lui che avrebbe liberato Israele»), rivolge loro parole che ridestano la speranza.
A tutti l’augurio di una “buona Pasqua”, con l’auspicio di Papa Francesco che l’anno del Giubileo che stiamo vivendo «possa essere per tutti occasione di rianimare la speranza» e che riconosciamo che «la speranza cristiana non illude e non delude», perché fondata su quel Gesù che non si è sottratto alla morte per noi, perché ci vuole bene e che, per questo, l’ha sconfitta, non solo per sé, ma anche per noi tutti, indistintamente.
*Vescovo di Senigallia
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